STORIA
La morfologia originaria del colle Esquilino è stata stravolta nei secoli dallo sviluppo ininterrotto della città di Roma che con i tanti e continui interventi di natura antropica, hanno profondamente modificato e modificano ancora l’originario aspetto.
Il paesaggio tra VIII sec. a.C. e I sec. a.C. è caratterizzato dalla presenza della Necropoli Esquilina che è la principale area di sepoltura degli abitanti di Roma dalle origini alla fine dell’età repubblicana. Moltissime sono le attestazioni archeologiche ed i ritrovamenti che hanno interessato l’area adiacente alla chiesa di Sant’Eusebio. Accanto alle povere sepolture, i puticoli, sono state rinvenute alcune tombe con ricchi corredi maschili e femminili: spirali in oro, scarabei con geroglifici egizi, vasi e balsamari etruschi ed un’olpe (brocca) con decorazione policroma con un’iscrizione paleo-greca, tutti oggetti che dimostrano i contatti precoci di Roma con il mondo mediterraneo.
Nel tratto tra le chiese di S. Eusebio e di San Vito, sono stati rinvenuti due monumenti funerari di età medio-repubblicana: le raffinate decorazioni pittoriche delle due sepolture (tomba dei Fabii, e sepolcro Arieti) sono esposte nella Centrale Montemartini.
A partire dalla metà del I° sec. a.C. questi luoghi diventano protagonisti di radicali trasformazioni; La grande necropoli fu cancellata per sempre e su di essa furono edificate dimore principesche dotate di vasti giardini, gli Horti ed in particolare gli Horti di Mecenate e gli Horti Lamiani.
Nel corso del III sec. d.C. l’area subirà ulteriori trasformazioni con la monumentalizzazione del Ninfeo di Alessandro, noto come i Trofei di Mario, punto di arrivo in città dell’acqua Claudia-Anio Novus.
Sul finire del III sec. d.C. e durante tutto il periodo tardo antico si assiste ad una sistematica spoliazione delle decorazioni parietali, e pavimentali degli Horti, e contemporaneamente si intensifica il fenomeno dell’occupazione parcellizzata di tutta l’area con la costruzione di domus tardoantiche e con la successiva lenta trasformazione dell’area in terreno agricolo, che tale rimarrà fino all’unità d’Italia con l’eccezione di alcune ville aristocratiche costruite a partire dal XVI secolo.
Il Titulus Eusebii, come documentato dalle fonti antiche, fu edificato all’Esquilino tra IV e V sec. su una preesistente insula romana di II° sec. d.C. dove, secondo la tradizione, visse e morì S. Eusebio.
La fase di trasformazione dell’insula d’età imperiale in titulus è poco documentata e documentabile; le attestazioni archeologiche sono scarse e le fonti documentali poche e spesso tarde.
Due iscrizioni, ritrovate nella catacomba dei Santi Marcellino e Pietro, sulla via Labicana, (coemeterium ad Duas Lauros), databili tra IV e V sec. attestano l’esistenza di un titulus Eusebii. La prima, un graffito di V sec. scoperto il 1° Marzo 1875 da Armellini, riporta: “Olympio/ lectoris de/ d(ominico) Eusebi/ locus est” ; la seconda, un’iscrizione su marmo, del 474 databile per il riferimento alla data consolare di quell’anno: [h]ic requiescit [---]/ [t]ituli Eusebi q[ui v]ixit ann(is) [---]/ [---] in pace p(ri)d(ie) kal(endas) febr(uarias) [Le]one iun(iore) aug(usto) pr[imum cons(ule)].
Le due iscrizioni ci consentono di affermare che nella seconda metà del V secolo esisteva un titulus Eusebii, organizzato e con sepolture “riservate” nel cimitero sulla via Labicana.
Verso la fine del V sec. il clero del titulus Eusebii partecipa attivamente alla vita della Chiesa su tematiche legate sia all’ortodossia che alla sua organizzazione.
Nel 494, papa Gelasio (492-496) riunisce un sinodo nel quale viene sottoscritto il “catalogo gelasiano” (elenco delle autentiche scritture dei Padri, incluse una lista di scritti apocrifi, e una lista di libri eretici proscritti); tra i firmatari compare un “Valentinus archipresbyter in titulo Eusebii in Esquilinis”.
Qualche anno dopo, nel sinodo romano del 499, voluto da papa Simmaco (498-514), troviamo tra i firmatari tre presbiteri del titulus Eusebii: Pascasius, Stephanus e Valentinus.
Poche e di difficile interpretazione sono le attestazioni archeologiche superstiti.
Complessivamente possiamo affermare che i pochi elementi individuati e studiati non forniscono prove certe per localizzare l’antico Titulus paleocristiano sotto l’attuale chiesa. L’esatta posizione dell’edificio antico è di difficile determinazione e non si può escludere l’ipotesi di una sua dislocazione e ricostruzione ex novo in età post antica.
Il paesaggio tra VIII sec. a.C. e I sec. a.C. è caratterizzato dalla presenza della Necropoli Esquilina che è la principale area di sepoltura degli abitanti di Roma dalle origini alla fine dell’età repubblicana. Moltissime sono le attestazioni archeologiche ed i ritrovamenti che hanno interessato l’area adiacente alla chiesa di Sant’Eusebio. Accanto alle povere sepolture, i puticoli, sono state rinvenute alcune tombe con ricchi corredi maschili e femminili: spirali in oro, scarabei con geroglifici egizi, vasi e balsamari etruschi ed un’olpe (brocca) con decorazione policroma con un’iscrizione paleo-greca, tutti oggetti che dimostrano i contatti precoci di Roma con il mondo mediterraneo.
Nel tratto tra le chiese di S. Eusebio e di San Vito, sono stati rinvenuti due monumenti funerari di età medio-repubblicana: le raffinate decorazioni pittoriche delle due sepolture (tomba dei Fabii, e sepolcro Arieti) sono esposte nella Centrale Montemartini.
A partire dalla metà del I° sec. a.C. questi luoghi diventano protagonisti di radicali trasformazioni; La grande necropoli fu cancellata per sempre e su di essa furono edificate dimore principesche dotate di vasti giardini, gli Horti ed in particolare gli Horti di Mecenate e gli Horti Lamiani.
Nel corso del III sec. d.C. l’area subirà ulteriori trasformazioni con la monumentalizzazione del Ninfeo di Alessandro, noto come i Trofei di Mario, punto di arrivo in città dell’acqua Claudia-Anio Novus.
Sul finire del III sec. d.C. e durante tutto il periodo tardo antico si assiste ad una sistematica spoliazione delle decorazioni parietali, e pavimentali degli Horti, e contemporaneamente si intensifica il fenomeno dell’occupazione parcellizzata di tutta l’area con la costruzione di domus tardoantiche e con la successiva lenta trasformazione dell’area in terreno agricolo, che tale rimarrà fino all’unità d’Italia con l’eccezione di alcune ville aristocratiche costruite a partire dal XVI secolo.
Il Titulus Eusebii, come documentato dalle fonti antiche, fu edificato all’Esquilino tra IV e V sec. su una preesistente insula romana di II° sec. d.C. dove, secondo la tradizione, visse e morì S. Eusebio.
La fase di trasformazione dell’insula d’età imperiale in titulus è poco documentata e documentabile; le attestazioni archeologiche sono scarse e le fonti documentali poche e spesso tarde.
Due iscrizioni, ritrovate nella catacomba dei Santi Marcellino e Pietro, sulla via Labicana, (coemeterium ad Duas Lauros), databili tra IV e V sec. attestano l’esistenza di un titulus Eusebii. La prima, un graffito di V sec. scoperto il 1° Marzo 1875 da Armellini, riporta: “Olympio/ lectoris de/ d(ominico) Eusebi/ locus est” ; la seconda, un’iscrizione su marmo, del 474 databile per il riferimento alla data consolare di quell’anno: [h]ic requiescit [---]/ [t]ituli Eusebi q[ui v]ixit ann(is) [---]/ [---] in pace p(ri)d(ie) kal(endas) febr(uarias) [Le]one iun(iore) aug(usto) pr[imum cons(ule)].
Le due iscrizioni ci consentono di affermare che nella seconda metà del V secolo esisteva un titulus Eusebii, organizzato e con sepolture “riservate” nel cimitero sulla via Labicana.
Verso la fine del V sec. il clero del titulus Eusebii partecipa attivamente alla vita della Chiesa su tematiche legate sia all’ortodossia che alla sua organizzazione.
Nel 494, papa Gelasio (492-496) riunisce un sinodo nel quale viene sottoscritto il “catalogo gelasiano” (elenco delle autentiche scritture dei Padri, incluse una lista di scritti apocrifi, e una lista di libri eretici proscritti); tra i firmatari compare un “Valentinus archipresbyter in titulo Eusebii in Esquilinis”.
Qualche anno dopo, nel sinodo romano del 499, voluto da papa Simmaco (498-514), troviamo tra i firmatari tre presbiteri del titulus Eusebii: Pascasius, Stephanus e Valentinus.
Poche e di difficile interpretazione sono le attestazioni archeologiche superstiti.
Complessivamente possiamo affermare che i pochi elementi individuati e studiati non forniscono prove certe per localizzare l’antico Titulus paleocristiano sotto l’attuale chiesa. L’esatta posizione dell’edificio antico è di difficile determinazione e non si può escludere l’ipotesi di una sua dislocazione e ricostruzione ex novo in età post antica.
Merita particolare attenzione un bassorilievo, databile tra IV – V sec. d.C., esposto in Vaticano nel Museo Pio Cristiano, che raffigura il Cristo docente tra i santi Pietro e Paolo che lo acclamano (fig 2). Il bassorilievo, forse era parte di un architrave di una delle porte della chiesa, fu ritrovato nell’orto dei monaci della chiesa insieme ad altri reperti tra cui alcune colonne.
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Per la prossimità alla chiesa di S. Eusebio si può ipotizzare che l’originale titulus Eusebii sorgesse a poca distanza dalla chiesa edificata successivamente ex novo.
Le poche notizie riguardanti il periodo altomedievale si riferiscono ad interventi di restauro effettuati dai papi Zaccaria (741-752) e Adriano I (772-795), seguiti da una serie di donazioni di arredi sacri e liturgici da parte di Leone III (796-812), Gregorio IV (828-844) e Niccolò I (858-867). Le sole probabili attestazioni archeologiche sono una parete, ritrovata nella fondazione della navata laterale destra, realizzata con grandi blocchi di tufo di reimpiego usati comunemente per muri di fondazione durante l’VIII e il IX secolo. Gli stessi blocchi di tufo sembrerebbero essere stati ritrovati anche nella fondazione della navata laterale sinistra. Sarebbe questa la prima attestazione archeologica dell’esistenza di una basilica a tre navate, corrispondente più o meno a quella attuale.
La sola notizia certa relativa a grandi lavori di restauro proviene dall’epigrafe commemorativa, murata nel portico a destra del portale d’entrata (fig. 3).
L’iscrizione ricorda una riconsacrazione della chiesa con tre altari da parte di papa Gregorio IX nel 1238 e l’aggiunta del nome di San Vincenzo al già titolare S. Eusebio. |
Forse, di poco antecedente, databile al XII secolo (secondo Krautheimer) è la muratura che costituisce il lato est del transetto.
Del restauro operato da Gregorio IX rimangono tracce sicure in tutto il transetto: è probabile quindi che interessò, in realtà, solo la parte del presbiterio, con un rifacimento totale dalle fondamenta. Si conservano ancora le pareti del transetto (che nel lato sinistro ne mantiene tracce fin quasi al tetto) e le fondazioni dell’abside semicircolare (fig. 4) edificate a ridosso del grande muraglione obliquo dell’insula romana.
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La chiesa aveva comunque forma basilicale a tre navate con quattordici colonne di marmo che separavano la navata centrale dalle due navate laterali. Ugonio ed altri studiosi testimoniano anche la presenza di pilastri all’interno del colonnato della navata centrale. Le mura ed i pilastri erano affrescati con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento. Fra gli affreschi si conservavano ancora nel XVI sec., su un pilastro di sinistra presso l’altare maggiore, quelli raffiguranti Sant'Eusebio e San Vincenzo.
I lavori di trasformazione dell'antico titulus, voluti da Gregorio IX, si concludono con la riconsacrazione della chiesa nel 1238 la chiesa rimarrà tale fino ai successivi restauri di fine ‘500. Il semplice prospetto laterizio con portico a cinque arcate su pilastri sovrastato da due piani di ambienti, ci è noto dalla xilografia di Girolamo Francino pubblicata nel 1588 (fig. 5).
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Il campanile del XIII secolo (fig. 6) mantiene quasi inalterato il suo aspetto originario con quattro ordini di trifore, è realizzato in laterizi. Le trifore presentano colonnine e capitelli in marmo bianco ed ogni ordine è separato da una cornice di laterizi con mensole marmoree. Si mantengono inalterate solo le trifore dell’ultimo livello quelle più in basso sono state murate per problemi di statica della struttura.
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L’11 giugno del 1289 papa Nicolò IV assegna alla Congregazione degli eremiti di Pietro “del Morrone” la chiesa di S. Eusebio "prope ecclesiam S. Mariae Maioris de Urbe", che rimane comunque titolo cardinalizio; nel 1294 Pietro è eletto papa con il nome di Celestino V, i monaci da quel momento saranno chiamati "Celestini" e conserveranno la chiesa per più di cinque secoli.
Dal 1470, sotto papa Paolo II, fino al 1472, sotto il papato di Sisto IV, nel monastero annesso alla chiesa vi opera una delle prime stamperie romane, quella del tipografo tedesco Georg Lauer, un ecclesiastico protetto da Oliviero Carafa, cardinale titolare di S. Eusebio dal settembre 1470, il che spiega la scelta della sede. Successivamente Lauer proseguirà la sua attività, sempre in Roma, fino al 1481.
Dal 1470, sotto papa Paolo II, fino al 1472, sotto il papato di Sisto IV, nel monastero annesso alla chiesa vi opera una delle prime stamperie romane, quella del tipografo tedesco Georg Lauer, un ecclesiastico protetto da Oliviero Carafa, cardinale titolare di S. Eusebio dal settembre 1470, il che spiega la scelta della sede. Successivamente Lauer proseguirà la sua attività, sempre in Roma, fino al 1481.
Il 13 luglio 1573 Gregorio XIII, come informa l'iscrizione in latino murata nel portico (a sinistra dell'ingresso; fig. 7), ma in origine a destra dell'altare maggiore, concede speciali indulgenze ai fedeli che visiteranno le cappelle di Sant’Eusebio, di San Leone papa e di San Benedetto nel giorno delle loro festività e pregheranno "per la concordia dei principi
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cristiani, l'estirpazione delle eresie e la tranquillità della Santa Madre Chiesa" (in quest'epoca le tre cappelle sono, rispettivamente, l'altar maggiore, quello alla sua sinistra che sarà poi dedicato a s. Celestino V, e quello alla sua destra, che conserverà la dedica al fondatore dei Benedettini).
Il 1588 è, per diverse ragioni, un anno decisivo per la nostra chiesa. L'assegnazione ai monaci della ex residenza cardinalizia sollecita un riassetto e un ampliamento del complesso a cominciare dal monastero con la realizzazione del nuovo elegante chiostro (fig. 8).
Il 1588 è, per diverse ragioni, un anno decisivo per la nostra chiesa. L'assegnazione ai monaci della ex residenza cardinalizia sollecita un riassetto e un ampliamento del complesso a cominciare dal monastero con la realizzazione del nuovo elegante chiostro (fig. 8).
Con l'approssimarsi dell'anno giubilare del 1600 i restauri si spostano sulla chiesa, che conserva ancora quasi intatta la struttura medievale, a cominciare dalla zona presbiteriale col transetto, rifatti, per l’occasione, nell'austero stile della Controriforma, con i materiali preziosi riservati ai tre altari, e con un maggiore sviluppo in altezza (fig. 9).
Il transetto resta delimitato alle estremità dai muri antichi, ma l'abside semicircolare viene abbattuta e sostituita da un profondo coro quadrilatero arricchito da arredi lignei di straordinaria fattura, ottemperando alle disposizioni liturgiche scaturite dal Concilio di Trento che prescrive che il posto dei cantori non sia più, come nelle chiese medievali (S. Clemente, S. Sabina, S. Maria in Cosmedin) davanti all'altare maggiore, ma dietro. Probabilmente in questa fase scompare l'antico arco trionfale, che da Panvinio sappiamo |
sorretto da due colonne grandissime e scanalate ("permagne et striatae") con capitelli corinzi, sostituito dal più alto arcone su pilastri, gemello di quello di accesso al coro.
I lavori si concludono per il 1600, data che figurava in un'iscrizione nel pavimento del presbiterio, perduta ma trascritta da Galletti.
Resta ancora visibile l’iscrizione del cupolino cieco sovrastante l'altar maggiore: "+ DEO BEATÆ MARIÆ ET CONFESSORI EUSEBIO AN. IU[BILÆI] M.D.C." (fig. 10). Responsabile di tutto l'intervento è ritenuto Onorio Longhi (Viggiù, 1568 - Roma 1619).
I lavori si concludono per il 1600, data che figurava in un'iscrizione nel pavimento del presbiterio, perduta ma trascritta da Galletti.
Resta ancora visibile l’iscrizione del cupolino cieco sovrastante l'altar maggiore: "+ DEO BEATÆ MARIÆ ET CONFESSORI EUSEBIO AN. IU[BILÆI] M.D.C." (fig. 10). Responsabile di tutto l'intervento è ritenuto Onorio Longhi (Viggiù, 1568 - Roma 1619).
Nella pianta prospettica di Matthäus Greuter del 1618, ed in altre successive, è visibile l’altana che si impostava, a giudicare dalle piante suddette, sul transetto e sul coro con un insolito effetto di prominenza sulla parte anteriore della chiesa che aveva mantenuto l'antica altezza. Sopravvissuta alla ricostruzione settecentesca che uniformò in altezza tutto l'edificio, sarà eliminata nel dicembre 1830 dai Gesuiti, divenuti i nuovi proprietari.
I successivi interventi di restauro saranno effettuati in prossimità del giubileo del 1700. Tali interventi daranno alla chiesa l’aspetto attuale e sono dettagliati nella sezione “Guida alla Visita”.
I successivi interventi di restauro saranno effettuati in prossimità del giubileo del 1700. Tali interventi daranno alla chiesa l’aspetto attuale e sono dettagliati nella sezione “Guida alla Visita”.