Guida alla visita - Interno
Lo spazio interno della chiesa presenta le tre navate nell’aspetto conferito da Niccolò Lorenzo Piccioni tra il 1754 e il 1759 (fig. 15), grazie al finanziamento del cardinale Enriquez.
Esse appaiono chiuse dall’area presbiteriale con il transetto e il coro sistemati da Onorio Longhi nel 1599-1600. Piccioni ha creato uno dei più armoniosi interni di chiesa del “barocchetto” romano, caratterizzato dalla depurazione degli eccessi decorativi tipica dell’architettura ecclesiastica durante il pontificato di Benedetto XIV. |
L’interno slanciato, luminoso e di sobria eleganza riscosse subito ampio successo; manomissioni più recenti hanno però alterato quell’immagine: la cantoria con il monumentale organo ha appesantito la controfacciata (1930-1934); la pavimentazione a piastrelle rosse di graniglia e liste di marmo che ha sostituito quella di mattoni con varie figure di lastra di marmo; anche il colore delle pareti non corrisponde più a quello originale. Interventi più rilevanti sono però stati effettuati sulle navate laterali, concepite prive di arredi, con voltine decorate con ghirlande di alloro. Tra fine ‘800 ed inizio del ‘900 i Gesuiti vi collocarono cinque altari e dopo l’erezione a parrocchia nella chiesa furono realizzate edicole e altari che Giovanni Incisa della Rocchetta già nel 1929 definiva: “Infelici segni della pietà moderna” (fig. 16).
La volta
Nella volta della navata centrale domina, impreziosendo l’architettura, il grande affresco, la Gloria di Sant’Eusebio, realizzato da Anton Raphael Mengs secondo le prescrizioni della committenza celestiniana (1757-1759 fig. 17).
Nella volta della navata centrale domina, impreziosendo l’architettura, il grande affresco, la Gloria di Sant’Eusebio, realizzato da Anton Raphael Mengs secondo le prescrizioni della committenza celestiniana (1757-1759 fig. 17).
Sant’Eusebio ascende alla Trinità trasportato da un gruppo di angeli, uno dei quali ostenta il cartiglio con le parole greche significanti “della stessa sostanza del Padre” e allusive alla natura divina del Cristo, proclamata dal concilio di Nicea e difesa da Eusebio fino al martirio. Il Mengs dopo questo affresco, anche grazie all’amicizia con lo storico dell’arte ed archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann, decollerà come artista europeo, riconosciuto ed osannato fin oltre i suoi reali meriti. E’ questa comunque una delle ultime manifestazioni della grande tradizione barocca di apoteosi affrescate, nello specifico di ecclesiastiche glorie di santi; qui il pittore introduce elementi di novità che si riconducono alla nascente temperie neoclassica e che rendono più credibile la rappresentazione dell’evento soprannaturale. Più netta è l’organizzazione dello spazio in tre zone distinte; maggiori sono la compostezza dell’insieme e la omogeneità cromatica in cui prevale la tonalità dorata. L’architettura oltre che dal contributo pittorico è qualificata da quello plastico, costituito dalla bella coppia di Angeli, che dispiegano il cartiglio commemorante la generosità del cardinale Enriquez ed il cui stemma sovrasta l’insieme;
Transetto ed Altare Maggiore
Tutta l’area oltre il grande arco è parte della ricostruzione approntata per il Giubileo del 1600 la cui paternità è riferita ad Onorio Longhi. Le teste dei cherubini presenti nei timpani dei tre altari e l’impianto quadrangolare del coro sono quasi una sua firma.
Il transetto è suddiviso in tre campate corrispondenti alla navata centrale, dove si trova l’altare maggiore, le altre due costituiscono rispettivamente il braccio destro e sinistro con i rispettivi altari. Sopra l’altare maggiore si ammira un cupolino ovale schiacciato con lanternino cieco intorno al cui bordo corre la dedica con la data del 1600 (fig. 10).
I tre altari spiccano, con i marmi preziosi e la cromia delle tele, sulle grigie pareti; analoga funzione hanno le grandi paraste rivestite di marmo rosso screziato in corrispondenza dei quattro archi.
L’altare maggiore (fig. 19) bifronte, così da essere utilizzato anche dalla parte del coro, ha struttura tardo manieristica, le quattro colonne di “breccia pavonazza” potrebbero essere le stesse, magari rilavorate, di quelle descritte da Ugonio, una decina di anni prima della ricostruzione del Longhi, per il ciborio medievale dell’altare maggiore.
Il fronte dell’altare recava originariamente la pala di Baldassare Croce, Madonna con Bambino e santi, oggi visibile nella parete destra del coro. Non sono stati reperiti documenti che attestino ad opera di chi e a quando esattamente risalga l’attuale sistemazione che è però successiva alla elevazione della chiesa in parrocchia. Un rilievo in stucco bianco, della dimensione della pala rimossa, propone i santi Eusebio e Vincenzo inginocchiati al di sotto della Vergine con il Bambino raffigurati a olio su tela in un quadro inserito in alto in posizione centrale tra angeli in stucco bianco. Il quadro rappresenta la “SS. Vergine con Bambino, detta Cuor di Maria”; l’immagine raffigura Madre e Figlio che presentano i loro cuori fiammeggianti (il primo profeticamente trafitto da una spada). L’iconografia accosta il nostro dipinto all’opera devozionale più nota di Pompeo Batoni, il Sacro Cuore della chiesa del Gesù. E a Batoni il dipinto è stato spesso attribuito, pur non raggiungendone la morbida raffinatissima tecnica di esecuzione è comunque un buon lavoro di ambito romano della seconda metà del Settecento. La pala nel riquadro superiore dell’altare raffigurante Sant’Eusebio in Gloria tra due angeli di è stata attribuita a Baldassarre Croce, ma sembra essere di altra mano.
Altari Laterali
Nella forma attuale, dovuta al Longhi, i due altari si presentano di uguale disegno, anch’essi costituiti con marmi pregiati; i piedistalli che fiancheggiano le mense recano lo stemma dei Celestini (fig. 20). L’altare di destra è dedicato a San Benedetto (fig. 21), fondatore dell’Ordine; la pala dell’altare, descritta da qualche autore come San Benedetto riceve una fanciulla postulante, rappresenta piuttosto San Placido fanciullo presentato a San Benedetto dal padre, il patrizio Tertullo; il ragazzo inginocchiato potrebbe essere San Mauro: sono i due discepoli prediletti dal santo di Norcia, ricordati anche da San Gregorio Magno. |
L’altare di sinistra è dedicato a Celestino V, fondatore della Congregazione, la pala rappresenta San Celestino V nel momento tragico della sua abdicazione (fig. 22).
A lungo si è dibattuto sugli autori delle due tele; fino al 1995 le due tele erano attribuite, secondo alcuni, a Cesare Rossetti mentre, secondo altri, la tela con San Benedetto era opera di Cesare Rossetti mentre il San Pietro Celestino V era opera ad Andrea Ruthart o Ruthard. |
Il problema della paternità delle tele è stato definitivamente risolto, a quasi tre secoli dalla loro esecuzione, in seguito al restauro del 1995-1996 diretto da Vitaliano Tiberia della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma e Lazio, che ha ridato piena leggibilità alle due opere e svelato i nomi dell’autore e del committente nonché le date di esecuzione. Autore è il poco noto pittore Giulio Solimena (Caggiano, Napoli 1676? – Roma 1722). I dipinti di Sant’Eusebio sono la prima opera dell’artista ove, accanto all’adesione ai modi del Maratta, persistono suggestioni della scuola napoletana. La pulitura ha rivelato sui due quadri, parzialmente abrase ma facilmente ricostruibili, la firma in latino di “Iulius Solimeni”, il nome del committente, l’abate Celestino Guicciardini e gli anni di esecuzione: 1704 per San Celestino V e 1705 per San Benedetto.
Organo settecentesco
A sinistra dell’altare di San Benedetto resta l’originario coretto con la cassa dell’organo (fig. 23). Ritenuto settecentesco da qualche autore, è invece nato con la sistemazione longhiana dell’area del presbiterio come denuncia la struttura estrosa e plastica nello stile del tardo manierismo che segue lo schema a “serliana” con la divisione in tre vani di cui il centrale con arco a tutto sesto e i laterali con architrave, l’organo giudicato “di notevole pregio è attribuibile con buona certezza” al tirolese Johann Konrad Wörle.
A sinistra dell’altare di San Benedetto resta l’originario coretto con la cassa dell’organo (fig. 23). Ritenuto settecentesco da qualche autore, è invece nato con la sistemazione longhiana dell’area del presbiterio come denuncia la struttura estrosa e plastica nello stile del tardo manierismo che segue lo schema a “serliana” con la divisione in tre vani di cui il centrale con arco a tutto sesto e i laterali con architrave, l’organo giudicato “di notevole pregio è attribuibile con buona certezza” al tirolese Johann Konrad Wörle.
Coro
L’ampio ambiente quadrato, coperto da una volta a botte, costituisce il coro (fig. 24). Alle pareti del coro sono appese due tele di uguale dimensione che costituivano in origine le pale dei due fronti dell’altare maggiore (quindi databili attorno all’anno giubilare 1600) rimosse tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. A destra è la Madonna col Bambino e i santi Eusebio, Vincenzo, Orosio e Paolino (fig. 25) già sul fronte principale, opera di Baldassarre Croce. Cesare Rossetti, collaboratore del Cavalier d’Arpino, è l’autore della Crocifissione con la Madonna, San Giovanni, la Maddalena, Santa Caterina d’Alessandria e Santa Scolastica (fig. 26) che figurava sul fronte dell’altare maggiore verso il coro, ed oggi sulla parete sinistra del coro. |
Una terza pittura ad olio su tela di grandi dimensioni è sulla parete di fondo: un’Assunta liquidata dagli autori che ne hanno accennato come mediocre opera seicentesca, di ignoto autore (fig. 27); in realtà, si tratta di una copia di discreta qualità di un’importante opera di Guido Reni emigrata all’estero: l’Assunta, l’originale è visibile all’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera.
Di eccezionale valore è il monumentale Coro ligneo, che riveste su tre lati le pareti inferiori dell’ambiente, ed appare vibrante di elementi decorativi scolpiti nel legno di noce con grande perizia tecnica, cui si alternano le pause delle specchiature lisce.
E’ formato da due ordini di stalli per un totale di quarantadue posti: ventisette in quello superiore, quindici nell’inferiore; i due seggi centrali, si distinguono per la più ricca decorazione. Sulle spallette, in corrispondenza dei braccioli sorretti da sfingi alate spiccano le statuine di Sante e Santi con relativi attributi e negli scudi araldici sottostanti, scene di martirio; al di sopra mensole con teste di cherubini che sorreggono il cornicione percorso da girali a rilievo. Completano l’insieme i due leggii angolari e il badalone centrale su base ottagonale che ha scolpiti nelle nicchie, alternati, i quattro Profeti maggiori e gli Evangelisti.
Il coro ligneo nel suo insieme costituisce per stile e lavorazione un unicum in tutta Roma: non sono stati, ad oggi, reperiti documenti sull’autore e la data di esecuzione che deve essere successiva ai restauri per il giubileo del 1600.
E’ formato da due ordini di stalli per un totale di quarantadue posti: ventisette in quello superiore, quindici nell’inferiore; i due seggi centrali, si distinguono per la più ricca decorazione. Sulle spallette, in corrispondenza dei braccioli sorretti da sfingi alate spiccano le statuine di Sante e Santi con relativi attributi e negli scudi araldici sottostanti, scene di martirio; al di sopra mensole con teste di cherubini che sorreggono il cornicione percorso da girali a rilievo. Completano l’insieme i due leggii angolari e il badalone centrale su base ottagonale che ha scolpiti nelle nicchie, alternati, i quattro Profeti maggiori e gli Evangelisti.
Il coro ligneo nel suo insieme costituisce per stile e lavorazione un unicum in tutta Roma: non sono stati, ad oggi, reperiti documenti sull’autore e la data di esecuzione che deve essere successiva ai restauri per il giubileo del 1600.
Cappella di Sant’Eusebio e altari delle navate laterali
Contigua alla chiesa, ma non direttamente comunicante con essa, era la Cappella di Sant’Eusebio, oggi sacrestia; si riteneva che questo ambiente insistesse sulla stanza della casa dove il prete martire fu rinchiuso e fatto morire di inedia. Dopo le tante alterazioni di antico resta ben poco; rimane l’edicola ha frontone triangolare, senza trabeazione, che poggia su due paraste con capitelli compositi, ed accoglie l’interessante rilievo in marmo raffigurante Sant’Eusebio sormontato dallo Spirito Santo nella consueta forma di colomba (fig. 28). Sotto il rilievo è murata l’iscrizione sepolcrale mutila, che ricorda il martirio del presbitero. Il tutto doveva in origine sovrastare un altare, rimosso probabilmente dopo l’esproprio.
Usciti dall’attuale sacrestia nella navata di destra si vede l’unica opera di qualche interesse, la tela del Sacro Cuore che costituiva la pala di un altare moderno, rimosso nel 1978 in seguito al cedimento della struttura.
Contigua alla chiesa, ma non direttamente comunicante con essa, era la Cappella di Sant’Eusebio, oggi sacrestia; si riteneva che questo ambiente insistesse sulla stanza della casa dove il prete martire fu rinchiuso e fatto morire di inedia. Dopo le tante alterazioni di antico resta ben poco; rimane l’edicola ha frontone triangolare, senza trabeazione, che poggia su due paraste con capitelli compositi, ed accoglie l’interessante rilievo in marmo raffigurante Sant’Eusebio sormontato dallo Spirito Santo nella consueta forma di colomba (fig. 28). Sotto il rilievo è murata l’iscrizione sepolcrale mutila, che ricorda il martirio del presbitero. Il tutto doveva in origine sovrastare un altare, rimosso probabilmente dopo l’esproprio.
Usciti dall’attuale sacrestia nella navata di destra si vede l’unica opera di qualche interesse, la tela del Sacro Cuore che costituiva la pala di un altare moderno, rimosso nel 1978 in seguito al cedimento della struttura.
E’ firmata da Cleto Luzzi (1884-1952) pittore romano che dopo gli esordi nella pittura storica e “di genere” aderì alla corrente liberty.
Procedendo in senso orario si trova un Crocifisso tra due liste di marmo con incisi i nomi dei parrocchiani caduti durante la Grande Guerra. Segue l’altare della Madonna del Rosario risalente agli ultimi anni dell’Ottocento, sul muro di controfacciata si incontra l’edicola di Sant’Antonio da Padova. Nella navata sinistra dopo l’edicola dell’Immacolata (1904) ed il battistero (1890 ca) si incontra l’altare dell’Addolorata eretto dall’omonima confraternita nel 1898, ornato nel 1906 e restaurato nel 1961 quando fu aggiunto il parapetto in marmo. Ad esso è particolarmente legata la figura di Maria Antonietta Bordoni (Arezzo 1916 – Castel Gandolfo 1978), fondatrice nel 1948 assieme al parroco Dottarelli della Piccola Opera Mater Dei con sede a Castel Gandolfo, dichiarata “venerabile” da papa Francesco il 6 marzo del 2018.
Segue l’altare della Madonna della Vittoria, eretto dai parrocchiani della Società Opera Pia Scurcolese col concorso di monsignor Valeriano Sebastiani nell’anno giubilare 1900. Nel 1950 furono offerti il restauro e la riproduzione della statua che ricorda la vittoria di Carlo I d’Angiò su Corradino di Svevia nei pressi di Scurcola Marsicana (23 agosto 1268), custodita nella chiesa del paese che porta lo stesso titolo.
Procedendo in senso orario si trova un Crocifisso tra due liste di marmo con incisi i nomi dei parrocchiani caduti durante la Grande Guerra. Segue l’altare della Madonna del Rosario risalente agli ultimi anni dell’Ottocento, sul muro di controfacciata si incontra l’edicola di Sant’Antonio da Padova. Nella navata sinistra dopo l’edicola dell’Immacolata (1904) ed il battistero (1890 ca) si incontra l’altare dell’Addolorata eretto dall’omonima confraternita nel 1898, ornato nel 1906 e restaurato nel 1961 quando fu aggiunto il parapetto in marmo. Ad esso è particolarmente legata la figura di Maria Antonietta Bordoni (Arezzo 1916 – Castel Gandolfo 1978), fondatrice nel 1948 assieme al parroco Dottarelli della Piccola Opera Mater Dei con sede a Castel Gandolfo, dichiarata “venerabile” da papa Francesco il 6 marzo del 2018.
Segue l’altare della Madonna della Vittoria, eretto dai parrocchiani della Società Opera Pia Scurcolese col concorso di monsignor Valeriano Sebastiani nell’anno giubilare 1900. Nel 1950 furono offerti il restauro e la riproduzione della statua che ricorda la vittoria di Carlo I d’Angiò su Corradino di Svevia nei pressi di Scurcola Marsicana (23 agosto 1268), custodita nella chiesa del paese che porta lo stesso titolo.